Un sabato qualunque all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Un sabato contemporaneo, in onore e nel ricordo di Luciano Berio, compositore d’avanguardia e pioniere nel campo della musica elettronica, a nove anni dalla scomparsa.
Si è aperta così, il 22 settembre, la nuova stagione della rassegna “Contemporanea”. Sul palco della sala Santa Cecilia, il pianista Ludovico Einaudi accompagnato da quattro percussionisti del Parco della Musica Contemporanea Ensemble (Antonio Caggiano, Antonino Errera, Fulvia Ricevuto, Gianluca Ruggeri) e dall’elettronica di Robert Lippok.
In scena, in prima assoluta, il suo nuovo progetto, “The Elements”, dedicato ai quattro elementi filosofici della creazione del mondo, acqua terra aria fuoco, cari anche allo stesso Berio, che aveva dedicato loro Wasserklavier (1966), Erdenklavier (1969), Luftklavier (1985) e Feuerklavier (1989), quattro dei suoi “Six Encores” per pianoforte.
La partitura di Einaudi si apre con un’eco – che riemerge alla fine del concerto – del primo di questi brani, quello dedicato all’acqua. La musica si mostra tenue, umorale, le linee insistite del piano “scavano la roccia” proprio come fa la goccia d’acqua. Al pari di quell’elemento, la musica appare sottile, leggiadra, sfuggente. A tratti brillante, scintillante, dalle linee ardite ma con scoscese risalite, a tratti concentrata, criptica, attraversa gli elementi in maniera scostante ed introversa. Gli opposti si attraggono con l’entrata, a poco a poco, delle percussioni, ora stridenti ora suadenti. Una partitura composita, dove anche il silenzio fa rumore. Le percussioni “simulano” tuoni e temporali. Quiete e tempesta si alternano.
L’elettronica amplifica ed espande senso ed aura di ciò che viene suonato. La musica si fa avvolgente, conturbante, e avviluppa l’ascoltatore. Le sfere poste sul palco – la scenografia così come la regia del suono, curata da Paolo Giudici, sono decisamente all’altezza della situazione, assecondano perfettamente la partitura – sono illuminate ed illuminanti, salgono scendono fluttuano. Persi nell’ascolto, le vediamo mutare da palle di fuoco a molecole d’acqua, fino a tornare sfere erranti nell’aere. La musica si fa più grumosa e terrigna.
Si tratta di una partitura complessa, proteiforme, estraniante. Un meticcio di classica, tango, latin – per il ritmo insistito delle percussioni – e prog. In una parola, musica contemporanea. Einaudi porta avanti gli insegnamenti e le intuizioni del suo “maestro di bottega” Luciano Berio, creando una musica eterea, sospesa, un po’ come le sfere sul palco, che cambiano di colore, da bianco a giallo, da celeste a rosso, a seconda dell’elemento evocato. Un gran bel concerto, profondo. La musica è sfuggente, affilata, da linee free si passa a linee armoniose. Il palco si fa rosso, evoca la terra. All’acqua si torna dopo “tuoni e lampi” fra piano e percussioni, con luci che “vanno a tempo”, quasi psichedeliche, grazie alla sapienza di Francesco Trambaioli, in grado di trasformare il concerto in un’esperienza multisensoriale.
La partitura si chiude come si era aperta, in maniera circolare, anche a livello scenografico, con le sfere che tornano volteggiando alla posizione di partenza, quasi a voler significare che è dal caos, creato dai quattro elementi, che nasce il mondo. La musica è ricorsiva e ricorrente, ciclica come le stagioni, sferica come il mondo. Probabilmente un jazzista “puro” l’avrebbe improvvisata, in parte o del tutto, questa invece è scritta, precisa come un orologio. Lo testimoniano gli squillanti, vibranti unisoni fra piano e percussioni. La sfera in alto sul palco gira come fosse la luna, influenzando così le maree, sonore, del piano.
Un finale suggestivo, cui fanno seguito vari bis, altrettanto sognanti ed evocativi. Per chi ha presente le quattro composizioni di Berio succitate, la partitura di Einaudi non sfigura affatto, anzi si coglie una certa somiglianza, un’ispirazione, un’idea comune, sviluppata e trasposta dal pianista e compositore torinese in chiave contemporanea. Berio avrebbe gradito.
di Marco Maimeri
