Questa settimana la nostra idea di intervista è partita dalla lettura di quanto abbiamo trovato scritto in rete sul Palio di Asti.
L’idea / sensazione che ci siamo fatti leggendo è che ci sia la forte volontà di sottolineare che il Palio per riuscire seriamente a preservare la propria storia, al di là della competizione che da sempre lo contraddistingue, debba essere letto prima di tutto come un progetto culturale capace di rispettare se stesso e di inneggiare ad un profondo spirito di coesione tra tutti gli attori che lo animano. La direzione? Conoscere e far conoscere: condividendo, appassionando.
Si attribuisce, infatti allo stesso Massimo Cotto, nominato quest’anno Assessore al Palio di Asti una frase emblematica “fino ad oggi il palio ha portato gli organizzatori più a difendere il fortino che a rilanciare questo tipo di manifestazione.”
Poiché l’idea, ad un certo punto, s’è fatta dubbio abbiamo pensato di raggiungere telefonicamente Massimo Cotto, per fare luce su una manifestazione che vanta alle sue spalle ben otto secoli di storia.
Massimo come stanno le cose? La nostra idea / sensazione è corretta?
A questa tua riflessione penso ci sia da aggiungere poco. Ti debbo dire che, personalmente, nei confronti del Palio non ho una impostazione politica. Però pur essendo Assessore al Palio solo da quest’anno (mentre sono Assessore alla Cultura da 4), mi sono subito reso conto che il paragone, assai spesso tentato, tra il Palio di Asti e quello di Siena è improponibile. Siena vive il Palio a 360° per 365 giorni l’anno. Noi abbiamo, invece, una tradizione culturalmente fortissima, la più antica d’Italia attorno alla quale dobbiamo stringerci, con rispetto, senza lasciarci imprigionare dal passato. Ciò per dire che se proviamo a trasformare il palio in una manifestazione, in una corsa di cavalli e in qualcosa che può essere replicato in qualsiasi luogo – che non è l’ippodromo ma la piazza – allora sicuramente perderemo. Se, invece, ci rendiamo conto che far correre i cavalli significa far correre anche la nostra storia allora avremo la possibilità di incamminarci su una strada diversa e in grado di farci arrivare all’obiettivo. Per riuscire in questo è importante essere al passo con i tempi e coinvolgere gli artigiani che sono “piemontesemente” freddi e, parimenti, i turisti facendo capire loro che il Palio di Asti è una rappresentazione proiettata verso il futuro e non necessita la difesa del fortino a tutti i costi.
Come hai immaginato, dunque, questa nuova edizione del Palio?
Come una edizione di transizione. I cambiamenti grossi arriveranno l’anno prossimo, ossia, con l’Edizione 2016.
L’idea di base è che lo spettacolo che ci sarà il prossimo 20 settembre sarà solo l’evento finale attorno al quale sono stati costruiti tutta una serie di appuntamenti che dureranno più giorni dando spazio ai bambini, agli sbandieratori: generando, insomma, la giusta risonanza e attribuendo al Palio il valore corretto. Il momento della corsa o della cena storica saranno e resteranno solo la punta di un iceberg.
Questo tipo di cambiamento come è stato accolto?
Il palio è tradizionalmente restio ai cambiamenti però quando sono arrivato mi aspettavo una accoglienza peggiore anche perché i Rettori Storici, oramai, sono tutti consapevoli che se non si cambia si muore e quindi mi hanno appoggiato. Qualcuno, certo, è rimasto arroccato sulle sue postazioni ma questo ci sta. Ogni cambiamento porta con sé una dose di malcontento, poi, bisogna capire quanto fiato ha il cambiamento che tu proponi. Bisognerebbe avere a disposizione un arco temporale lungo (almeno 5 anni). Faccio un esempio molto stupido. Quando è stata pedonalizzata Piazza Alfieri tutti i negozianti sono insorti. Anni dopo, paventando l’ipotesi di riaprire la Piazza per far tornare le macchine gli stessi negozianti hanno portato avanti la rivoluzione al contrario per impedire che ciò accadesse. Segno evidente del fatto che ciò che temevano all’inizio, nel tempo, ha prodotto molti vantaggi.
Da Assessore al Palio, consapevole che non tutto quello che propongo sia la situazione migliore, sono riuscito a convincere tutti i Rettori e tutti i Comitati che ruotano intorno al Palio adducendo loro che se non proviamo a cambiare perderemo ogni confronto con il resto d’Italia. Dobbiamo preservare ad ogni costo la nostra identità.
Come va il rapporto con gli animalisti?
E’ un rapporto che passa attraverso il rispetto di base reciproco anche se dalla propria, gli animalisti, hanno giuste osservazioni.
Il palio storicamente, al di là di alcuni infortuni tragici del passato frutto di situazioni irripetibili, ha mostrato per gli animali sempre la massima attenzione e cura. Però è giusto che la pensino diversamente e manifestino in maniera colorita e non violenta. Se il rapporto resterà civile io farò di tutto perché possano esprimerci il loro dissenso.
Il futuro del Palio passa anche attraverso i bambini?
Decisamente sì. Mi fa piacere che certe richieste di incontro non provengano solo da realtà strettamente interne al Palio ma anche dalle scuole perché è giusto raccontare ai giovani cos’è il Palio e trasmettere la sua Cultura.
Visto che siamo bravi, nel tempo e attraverso le generazioni, a cambiare il significato delle parole e dato che, assai spesso, tendiamo ad attribuire valore diversi a valori importanti è vitale per il Palio che i bambini mantengano la proprietà di certi termini? Ed ancora: solo questa è la via per conservare intatto il significato di certe realtà?
Tutte le manifestazioni sportive, sotto certi punti di vista, sono un po’ una metafora. Perché è la vita stessa ad esserlo. Pensa al calcio. Anche nel palio il sorteggio determina chi parte più vicino e chi più lontano. Poi può capitare l’infortunio o che si comprino i fantini. Quello del palio è un mondo dove tutti sono contro tutti e nel quale tutto è concesso ma , alla fine, vince la lealtà della competizione: il palio è sopra di tutto.
Ovvio che i bambini restino affascinati dalle bandiere, dai costumi, dalla voglia di sfilare. Come nel calcio la speranza è che i genitori prendano per mano i loro figli e possano portarli per le strade a consocere il palio così come sono abituati a conoscere lo sport del calcio. La speranza è nel contagio positivo dalle emozioni che si scoprono a vivere. E’ e resterà sempre questo un bel modo per insegnare qualcosa ai propri figli tenuto conto che, mentre imparano, a loro volta insegnano sempre qualcosa di nuovo agli adulti.
Visto che si è parlato di metafore, me la passa la metafora dei cavalli di razza del Palio con i puledri di Sanremo?
(Sorride) Ambedue sono molto esposti. Tra i cavalli di razza del Palio e quelli di Sanremo c’è però una differenza: ambedue concorrono. Però nel Palio si vince solo se si arriva primi mentre a Sanremo si può vincere anche arrivando ultimi. Nel Palio arrivare secondi è peggio che arrivare settimi perché da secondi si arriva ad un passo dal sogno che diventa irrealizzabile, almeno fino all’edizione successiva.
A Sanremo i cavalli di razza si giocano tutto nell’arco di tre minuti mentre nel Palio di Asti i muniti sono solo due. Come diceva un mio storico professore dell’Università : “Il cane sarà forse il migliore amico dell’uomo ma è il cavallo che ha fatto la storia”.
Da Presidente di Area Sanremo come stanno andando le attività legate al Festival?
Ritornerò sul luogo del delitto. Avevo già presieduto per due anni Area Sanremo sia come direttore artistico sia come presidente della commissione. Ho avuto la fortuna di ascoltare Noemi, Arisa e Simona Molinari.
Ora, sinceramente, spero di avere la stessa fortuna. Se è certo che il talento non si può insegnare è vero anche che si può riconoscere e io spero di riuscire a dare impulso e spazio all’originalità e alla diversità delle persone. Sono stufo di ascoltare sempre la stessa musica e il bel canto. Quest’ultimo non deve essere la priorità e chi sale sul palco deve mettercela tutta nel raccontare la propria vita in modo universale. Quando il dolore o la gioia diventano universali tutto cambia.
Vi siete dati, dunque, un indirizzo artistico?
Noi cerchiamo non tanto voci nuove .. stile Pausini … o Ferro… (certo, se ci sono è meglio). E visto che Sanremo è, ancora oggi, un luogo dove si può veramente decidere il futuro di una persona e che il vero sogno dei ragazzi non è vincere la kermesse sanremese ma vivere di musica, è giusto spendersi per rendere possibile la scelta di questa strada e premiare quei prodotti discografici non tanto legati alle mode quanto quelli che sono in grado di resistere nel tempo. No a canzoni scritte solo per Sanremo. Sì alle canzoni che cercano di andare oltre parlando una lingua universale.
Tra l’assessorato al Palio e alla Cultura e Sanremo c’è anche il tempo per scrivere?
Entro Natale pubblicherò due libri. Il primo è “Rock Bazar Vol. 2” visto che il primo è andato benissimo e ha avuto 4 o 5 ristampe. Il secondo, edito da Mondadori sarà un libro strano in quanto dedicato a Paolo Conte: il titolo non è stato ancora deciso. E’ stato portato a termine con la sua collaborazione e rappresenterà una bellissima occasione per conoscerlo meglio. Erano anni che incontravo Paolo e gli dicevo “Possibile che io abbia pubblicato decine di libri e non abbia mai scritto nulla su di te che sei di Asti come me ?” e Lui: “Ma io preferisco che nessuno racconti chi sono perché non ho intenzione di conoscermi: così continuerò a cercare, a cercarmi” . Considera che, per il sottoscritto, Conte è un punto di riferimento incredibile.
La scrittura di questi due libri mi ha permesso di chiudere il cerchio. Sono due libri che attendono con grande impazienza di uscire, tenuto conto che non c’è niente di più terribile del tempo che passa tra la fine della scrittura e il momento della pubblicazione. Quando scrivi almeno vivi della bellezza della scrittura, quando esce, invece, hai voglia di capire se piace o non piace mentre l’attesa della pubblicazione è solo terribile.
E…
E’ importante guardare al futuro con grande serenità, ossia senza problemi, perché alla fine andrà tutto bene. A tal proposito c’è la frase di un vecchio film che recita: “Se non va bene è perché non siamo ancora alla fine” per cui guardiamo con fiducia al futuro senza porci troppi problemi.
di Giovanni Pirri

