#IvanCattaneo (@amnestyitalia) #Untipoatipico @mei_meeting #nuovomei2015
Sentire la sua voce al telefono è come uplodare un passato mai tramontato che t’accompagna e ti solletica fin nel presente. Per l’artista in questione, protagonista della nuova intervista di Allinfo.it, rappresenta una continua opportunità di evoluzione, sperimentazione, di scrittura di nuovi linguaggi utili ad esprimere ancora meglio se stesso.
L’artista che abbiamo raggiunto al telefono è IVAN CATTANEO. Oggi, 18 settembre è uscito il disco omaggio ai suoi primi quarant’anni… di carriera dal titolo emblematico “Un tipo Atipico“
Quando hai saputo di questo disco a te dedicato come ti sei sentito?
E’ stata una grande sorpresa di cui non sapevo nulla . Salvatore De Falco ha messo in piedi questo tributo che è molto strano. Pensandoci bene non è un tributo normale come potrebbe esser messo su per Lucio Dalla o Fabrizio De Andrè. Riguarda un personaggio molto trasversale nato come cantautore / autore – ho lavorato per Patty Pravo, Al Bano e tanti altri – le cui canzoni non hanno avuto l’attenzione dovuta e, nel tempo, ha avuto successo sia come interprete sia come reinventore del linguaggio revival. Quindi per me è un doppio tributo che mi ha profondamente commosso. La massa mi conosce per Una zebra a pois, bang bang e non per altre canzoni.
Ti sei fatto una idea del perché?
Credo che certe canzoni, ai tempi, siano passate inosservate perché particolari , d’avanguardia , insomma, non coerenti nel linguaggio con quello in uso a De Gregori e ai cantautori del medesimo periodo.
Sei sempre stato un precursore dei tempi. L’uso di un tributo classico ha rispettato questa tua necessità /voglia di essere avanti?
Sì anche se le canzoni così, come sono state cantate, sono molto più attuali. Le trovo interessanti e con i tempi giusti. Alcune sono state abbastanze rispettate nell’arrangiamento, altre invece sono diventate un’altra cosa e, quindi, hanno acceso in me tanta curiosità. La cosa più bella di questo collage è che nessuno mi ha imitato e, quindi, gli artisti di questo disco – sia quelli che conosco da tempo sia i più giovani – meritano attenzione per il modo con il quale hanno reinterpretato canzoni che non sono state facili all’epoca e continuano a non esserlo ancora oggi. Se pensi che molti miei arrangiamenti erano molto zappaniani ma anche frutto della contaminazione con le sonorità della PFM, di Roberto Colombo e di Cacciapaglia.
Quando sono nate queste canzoni nascevano da una voglia di dissacrare punto e basta o di raccontare qualcosa che andava oltre?
Non saprei dirtelo… Io avevo voglia soprattutto, di suonare la chitarra e scrivere. E di cantare. Perché il mio tipo di voce era molto particolare e Nanni Ricordi, padre di tutti i cantautori, aveva deciso di dare vita alla figura del cantapittore perché sapeva che, contemporaneamente alla mia attività di artista della musica, dipingevo. Così nel 1977, senza saperlo, insieme abbiamo inventato una primitiva forma di multimedialità che nasceva con la voglia di stimolare i cinque sensi. Su tutto la nostra voglia di giocare. Il revival poi l’ho inventato a Parigi in una piccola discoteca dopo aver ascoltato dei ragazzi che imitavano Elvis. Mi sono detto allora “perché non imitare quelli degli anni 60 più vicini a me?”. In Italia è piaciuto, tra l’altro, nessuno prima di me lo aveva mai realizzato così. 33 anni fa io lo chiamavo archeologia moderna: era modernariato. Tieni conto che non esisteva ancora la parola vintage e a modo suo era pura avanguardia.
Da dove nasce questa voglia di essere artista?
Dal profondo. Dall’idea che i veri artisti nella musica siano quelli che creano, scrivono parole e musica, come nella pittura gli artisti sono quelli che dipingono. Per questa ragione ho deciso di fare il cantautore. Non mi sono mai sentito un cantante. Lo sono diventato quando ho scelto di essere interprete. Anche se un cantante non è un artista. Scusa la provocazione E’ uno che canta bene , ha molta fantasia ma non altro. Altrimenti non si spiegherebbero i talent pieni di cantanti dalla bella voce che non fanno arte. L’arte viene dimostrata quando riescono ad essere loro stessi e a donare qualcosa che nasce dal profondo e non qualcosa che è di altri.
E non è un problema di qualità tecnica. Yoko Ono ha sempre sostenuto che troppa professionalità sia capace di uccidere l’arte e io sono d’accordo pienamente con lei. E la gente di questo, anche se inconsapevolmente , sa accorgersene. Altrimenti non andrebbe a comprare i dischi di Jovanotti che non sa cantare ma ha un mondo poetico meraviglioso e sa scrivere delle cose bellissime lanciando dei messaggi molto interessanti. Idem per Madonna che ha sempre cambiato immagine non rinunciando mai alla voglia di dire qualcosa di importante. Ci vuole la creatività sotto. Ci vuole arte.
Ci vuole anche un po’ disciplina? Te ne sei data una per rimanere il personaggio che sei senza lasciarti svilire dai tempi?
Io non sono molto disciplinato, anzi sono estremamente pigro e mi lascio condizionare dall’istinto. Altrimenti avrei fatto un disco all’anno mentre pubblicavo dischi se avevo qualcosa da dire. Nel momento stesso in cui la mia casa discografica mi ha obbligato a fare dischi per cavalvare il successo ho chiesto subito la liberatoria per tornare a fare le mie cose senza costrizioni. Non sono capace di stare nell’industriale del disco. Invidio quelli che ci riescono ma non è questo il mio mondo.
Hai continuato quindi a disegnare . Continui a scrivere?
Tantissimo e ho tantissime canzoni nel cassetto e, poi, sto preparando una mostra che andrà a Milano dal 10 dicembre 2015 al 10 gennaio 2016 – ci sarà anche una performance all’interno della mostra – e un dvd d’arte che conterrà dei video racconti in cui entreranno anche delle canzoni. Non si vuole mettere in cocorrenza con il mondo discografico perchè parla più del mondo dell’arte . Sto aspettando il momento migliore per farlo uscire e che la gente sia pronta.
In questo tuo percorso la sperimentazione continua ad appartenerti?
Sempre. Inevitabilmente: musica elettronica, suoni, rumori, modi nuovi di cantare, nuovi linguaggi e ciò mi tiene vivo.
Che cosa si prova ad aver dato vita a tanti termini e modi prima di tutti gli altri e a osservarne il loro imperare oggi?
Nulla di particolare. Visto che ogni cosa è nata in modo naturale, dall’osservazione.
C’è uno stile al quale ti senti legato?
La parola stile l’ho sempre ritenuta orrenda. Non amo gli stili. Ognuno deve essere libero di decire cos’è quello che si trova di fronte La classificazione è un difetto praticato dalla nostra società che necessita di contenere il giudizio per capire di cosa si sta parlando.
Laurie Anderson affermava che “Parlare di musica è come ballare d’architettura” mentre per me parlare di musica è utile come fare ginnastica nel sonno. Non serve a nulla. Certo è che la musica, come qualsiasi altra forma di espressione, è un territorio di libertà e, venuta dall’aria e, oggi, nell’aria è tornata grazie anche alla tecnologia: nel bene e nel male che ciascun cambiamento comporta!
Un consiglio che ti dai da quarantenne, oggi?
Non ci avevo mai pensato al fatto di potermi definire un quarantenne (sorride).
Se devo essere sincero non me ne do nessuno. Dietro la disciplina degli altri c’è la paura di andare oltre. Perché l’artista vero è quello che sta sempre sull’orlo del precipizio.
Questa è la tua paura più grande?
Di diventare così? Disciplinato? No non c’è questo rischio
I proventi del disco a chi andranno? Ed è vero che ti esibirai sul palco del MEI?
Sì mi daranno il premio alla carriera e mi esibirò a Faenza riproponendo alcuni brani del mio repertorio. E i proventi del disco andranno ad Amnesty che festeggia quest’anno i suoi 40 anni. E’ bello questo connubio tra i quarant’anni di solidarietà e i quarant’anni della mia carriera perché può servire a sostenere progetti utili
Cosa ascolti oggi?
Delle cose house e Portishead, un gruppo di molti anni fa. E poi la DJ Nicolette, la corista dei Massive Attack. Poi ascolto Mina mentre il mio artista preferito è Sakamoto.
E…
Rendersi conto che non si possono dare etichette. Bisogna fare attenzione ai tempi che si vivono e rendersi conto dei vari passaggi che la musica ha avuto per apprezzarne meglio la sua storia e capire che la musica era, prima di tutto nell’aria e, passando per i dischi, le cassette e oggi attraverso i cd, e gli mp3 , sta tornando nell’aria. Segno evidente del fatto che la musica non si può afferrare. Nel bene e nel male. La musica per continuare ad esistere ha bisogno di mantenersi visto che le case discografiche , da tempo, hanno smesso di proteggere i loro artisti.
di Giovanni Pirri

