Intervista a Camilla Ancilotto (@camiancilotto) di Pier Paolo Segneri

IMG_2056(@camiancilotto)

Artista contemporanea e donna d’altri tempi. Camilla Ancilotto è una persona cortese, dai modi garbati, quasi antichi, ma con una visione ampia, aperta, innovativa. La sua è una gentilezza antica che, purtroppo, è divenuta rara negli ultimi tempi eppure la sua arte è modernissima e lei stessa ha una mentalità rivolta al futuro.

Per far capire l’importanza dell’artista in questione, basti solamente pensare che, nel prossimo Catalogo dell’Arte Mondadori, giunto ormai alla cinquantesima edizione, anniversario speciale e veste editoriale dorata, vi è stata anche inclusa – appunto – l’opera di Camilla Ancilotto. Un vero e proprio riconoscimento, davvero meritato, alla sua sensibilità creativa e al valore delle sue opere. Tra i vari impegni civili e culturali di Camilla, che sarebbe prolisso citare in modo completo ed esaustivo, va forse ricordato che, tra l’altro, Ancilotto è anche iscritta all’associazione di cultura politica “il cantiere”. Un impegno che restituisce senso e significato all’arte.

Chi è, secondo te, l’artista?

L’artista è una persona che riesce a trasmettere il suo stato d’animo in relazione al mondo che lo circonda, esprimendo così non soltanto il proprio mondo interiore, ma l’intera realtà sociale, civile e civica. Addirittura leggendo e interpretando il contesto mondiale, universale. Con l’arte si trasmette la realtà contemporanea, si raffigurano i propri tempi secondo il filtro della propria sensibilità, del proprio sentire. Questo fa l’artista.

Quando e come è cominciata la tua passione per le arti figurative?

Fin da bambina, già alle scuole elementari, disegnavo e facevo pupazzi, inventavo e coloravo. Era un’esigenza che mi faceva stare bene con me stessa. Si tratta di una vera e propria vocazione, qualcuno lo chiama talento, ma per me era un’esigenza vitale, spontanea, anche perché le altre materie non avevano su di me lo stesso fascino o la medesima forza attrattiva. Anzi!

Come sei arrivata al tuo particolare stile figurativo?

Semplice: rendendo contemporaneo il tradizionale. La tecnica che uso è quella della pittura a olio sul legno, metodo tradizionale, mentre lo stile, quasi per contrasto, è sempre molto innovativo, è una ricerca continua del nuovo. Credo che questa mia caratteristica sia dovuta al tipo di studi attraverso cui mi sono formata. Ho avuto una formazione classica, con un Master di Belle Arti a New York (MFA), caratterizzato dal fatto che, pur essendo una scuola fondata nella patria della Pop Art, si andava alla ricerca della memoria e dell’armonia tipica degli antichi maestri: il Bronzino, Rubens, il Rinascimento, il Manierismo… Ma qui, assimilata l’impostazione classica, subentra il mio stile personale con cui stravolgo l’antico rendendolo contemporaneo, con una visione del mondo legata alla realtà di oggi e alla mia esperienza emotiva.

E com’è questo mondo di oggi che racconti nelle tue opere?

Innanzitutto, è un mondo virtuale. Oggi i giovani sono abituati a vivere e a convivere con il virtuale, con il verosimile, con la proiezione della realtà. Anche i bambini, invece di giocare con le forme, cioè con gli oggetti reali, concreti e tangibili, giocano con gli schermi piatti, anche se tridimensionali. E’ una lacuna pedagogica che crea mancanze. Cambia la percezione della manualità. Questo non lo dico io, ma lo affermano illustri e importanti psicologi, studiosi, medici. Ecco, rappresento questa esigenza di unire il virtuale con il reale.

Quali sono le caratteristiche principali delle tue opere?

In genere, nella mia produzione artistica, colpiscono subito le cosiddette opere monumentali, realizzate da cubetti scala 1:10. Così le persone si avvicinano e cominciano a giocare con i cubi. Come accade, per esempio, con una scultura monumentale che richiama la Guernica di Picasso, quindi che richiama la guerra, ma il gioco sta nell’invitare il visitatore, lo spettatore, il pubblico a interagire con l’opera, a far girare i cubi che, così cambiando faccia, aprono nuovi scenari, possibili mutamenti, altre immagini e si va dal disegno tragico a una figura che esprime speranza o serenità. E’ come se chiedessi di cambiare questa situazione passando dalla guerra alla pace, dalle atrocità alla cooperazione, dall’odio all’amore.

E quali esiti hai riscontrato?

Riesco ad avvicinare anche i bambini che amano interagire con l’opera. Soprattutto, quando realizzo una scultura monumentale, mi rivolgo e penso ai bambini che vivono in ambienti di guerra e cerco di offrire, a chi guarda, un maggiore senso di consapevolezza delle immani tragedie in corso nel mondo. A tal proposito, c’è una mia opera che focalizza questo aspetto in modo netto, si intitola “Deposizione”. Gli esiti che ho riscontrato, perciò, sono molteplici.Vorrei però ricordare anche la collaborazione che ho intrapreso con “Save the Children” e, in particolare, per gli aiuti in Siria. Con il ricavato che deriverà dalla vendita della “Deposizione” cercheremo di aiutare un poco i bambini siriani che vivono in uno scenario di guerra.

Quali idee hai per l’immediato futuro?

L’idea è quella di proporre una performance alla prossima Biennale di Venezia in cui colorerò di nero la mia “Deposizione” in segno di lutto. E lo farò nello stesso punto dove è stata esposta nel 2013, cioè presso il padiglione della Repubblica Siriana. Come persona e come artista sono un po’ sfiduciata perché il mio messaggio di pace, di nonviolenza e di cambiamento non è stato ascoltato e, quindi, vorrei calare un velo di lutto, un velo nero sui miei cubi. Lo so, è un gesto di rabbia, ma vorrei esprimere questa rabbia e renderla esplicita, quasi a voler offendere il mio lavoro perché non ha portato i frutti sperati. Che poi, a pensarci bene, è anche il messaggio di Picasso. Insomma, è come se la rabbia mi portasse a deturpare la mia opera. Il cubetto nero è una scelta che si impone, è un segno dell’atmosfera funebre che l’orrore emana. E’ una provocazione.

Qual è oggi la tua più grande soddisfazione?

I miei figli. La soddisfazione più grande sono i miei figli. Come artista mi sento appagata, felice, apprezzata. Aggiungerei soltanto una cosa per concludere: ogni crisi è sfociata in qualcosa di positivo e anche questa volta sono sicura che l’arte può giocare un ruolo per uscire dalla crisi e avviare un’età della Rinascenza. C’è sempre una soluzione positiva e costruttiva da cui ripartire. Ripartiamo.

di Pier Paolo Segneri

26 pensieri riguardo “Intervista a Camilla Ancilotto (@camiancilotto) di Pier Paolo Segneri

Scrivi una risposta a _ilsettimanale Cancella risposta