@BoschieroErica
Erica Boschiero, un’emozione sincera, un’anima pura che convivono e disegnano il profilo dell’artista a tutto tondo. Un artista trevigiana che sa metabolizzare la realtà viva della propria terra contaminandola con il mondo.
Erica ha recentemente partecipato alle dirette streaming del progetto #DALPALCODICASAMIA ed è proprio in occasione di tale direttache è nata l’intervista che leggerete.
Erica tu sei una cantautrice Veneta. Quanto colore e calore della tua terra c’è nella tua musica?
C’è il bianco della neve delle Dolomiti, le montagne dove sono nata, l’azzurro terso di quei cieli e il verde scuro dei boschi. Ci sono i nostri “blues”, i canti alpini che mi cantava mio padre quando ero bambina, ma ci sono anche il genovese di De Andrè e il sardo di Andrea Parodi, fino alle lingue d’oltreoceano di Mercedes Sosa, Joni Mitchell e Bob Dylan. Insomma, la mia terra mi scorre nelle vene, ma da sempre sono stata curiosa di conoscere quello che stava al di là del confine. Poi la vita mescola il tutto e ne trae un succo originale, frutto del nostro vissuto e delle nostre rielaborazioni.
La tradizione è un elemento chiave per non dimenticare quel valore fondante di ciascuna persona che sta nelle radici?
Esattamente, è fondamentale sapere da dove si arriva, per capire dove si sta andando. Conoscere la nostra storia, quella dei nostri antenati, le vicende che portiamo impresse nelle nostre stesse cellule, ci dà forza e identità. E solo quando ci sentiamo forti nel sapere chi siamo smettiamo di avere paura dell’altro che ci viene incontro, perché l’incontro smette di essere minaccia e diventa occasione di scambio per un reciproco arricchimento.
Che spazio dai alla contaminazione, musicale e di genere (musicale)?
Quella dei generi è un’esplorazione senza fine. Devo dire che in questo sono molto curiosa ma anche un po’ timorosa, non mi sono mai spinta in terreni troppo distanti dal mio, la canzone d’autore. Fortunatamente come genere si presta di per sé ad essere contaminato e ad assumere sfumature diverse a seconda dei periodi e delle collaborazioni. Mi piace moltissimo lavorare a stretto contatto con altre forme d’arte: con il teatro, l’arte pittorica, la divulgazione scientifica e sociale. Per questo sono nati spettacoli di grande successo come E tornerem a baita, Alberi, Spaesati e Domani è Bello.
C’è spazio per la musica al femminile?
Veniamo alle domande che scottano! Direi di no. In Italia non ce n’è abbastanza. I concertoni del primo maggio (togli quello di quest’anno che, nella sua straordinarietà, è stato il primo in lieve controtendenza), i live-beach di Jovanotti, la compilation di cover di Fabrizio De Andrè “Faber Nostrum”, non ci sono che rarissime tracce della presenza di cantautrici. Ci sono ancora pregiudizi pesanti sulla musica al femminile. Molti pensano che le nostre siano tutte canzoni deboli, ormonali, prive di contenuti interessanti. Invece ci sono tante cantautrici che scrivono brani validi, potenti, nient’affatto scontati, che vengono sistematicamente ignorate. Pare impossibile, ma soprattutto nel mainstream la donna più sta zitta e si limita ad ammiccare e sorridere magari mostrando un po’ le gambe, e meglio è. E questo, è triste ammetterlo, è un primato tristemente italiano.
Che tipo di esperienza è stata quella che ti ha portato a tenere concerti in Islanda, Norvegia, Francia, Germania, Svizzera, Estonia, Lettonia, Bielorussia, Ungheria, Repubblica Ceca, Nepal e Kazakhstan?
Sono state esperienze diverse. In alcuni di questi paesi sono approdata grazie all’Associazione Ambasciatori In Musica. Per alcuni anni con un gruppo di artisti più o meno noti (tra noi c’erano anche Edoardo Bennato, Maria Pia De Vito, Enzo Gragnaniello) siamo stati all’estero, per conto delle ambasciate e degli Istituti Italiani di Cultura, a raccontare la lingua italiana attraverso le nostre canzoni. Un tour in particolare mi ha visto toccare Islanda, Norvegia, Ettonia, Estonia, Bielorussia e Kazakhstan. In Svizzera, Francia e Ungheria siamo stati con lo spettacolo E tornerem a Baita e in Repubblica Ceca per un’iniziativa di Amnesty International. Insomma, tutte cose appassionanti, e occasioni preziose per mettere il naso fuori dai confini nazionali.
Impegno sociale e musica un binomio vitale? Hai avuto esperienze anche con Emergency Amnesty International … in quali occasioni?
Per Amnesty International ho suonato all’iniziativa “I welcome Refugees” al DOX di Praga e al Meeting mondiale dei difensori dei diritti umani al Palais Chailot di Parigi. Per Emergency in un paio di concerti qui in Italia e poi alla Marcia della Pace Perugia-Assisi e in diverse altre manifestazioni. Le tematiche sociali mi sono sempre state molto a cuore, e mi piace pensare di mettere quel che so fare anche al servizio di ciò in cui credo.
Hai aperto concerti e/o duettato con Gino Paoli, Danilo Rea, Paola Turci, Maria Gadù, Ron, Luca Barbarossa, Neri Marcorè, Elena Ledda, Maria Pia De Vito, Tolo Marton, Fausto Mesolella, Liam O’Maonlai (Hothouse Flowers), Max Manfredi. Aneddoti, esperienza, sottolineature di incontri in libertà?
Ho avuto la fortuna di incontrare artisti di una grande umanità, oltre che talento artistico. Molti dei nomi che hai appena fatto appartengono a questa categoria. Semplicemente trovo che ognuno di questi incontri mi abbia in qualche modo insegnato qualcosa. In particolare quello con Fausto Mesolella: la sua sensibilità poetica e la sua straordinaria generosità, nascoste dietro quell’aria da orso buono che tanto mi ricordava i vecchi montanari mi hanno dato tanto.
Dal 2017 sei direttrice del Coro dell’Università Popolare di Treviso?
Sì, una delle esperienze più belle della mia vita. E’ un coro di 40 donne dai 60 ai 93 anni. Portiamo in scena uno spettacolo sulla questione di genere, ed ora stavamo lavorando ad un nuovo progetto sulla storia d’Italia, sempre attraverso le canzoni. E’ un’esperienza artisticamente e umanamente incredibile, vedere come ciascuna di loro porta la propria storia, si mette in gioco, si affida alle altre e contribuisce a creare qualcosa di collettivo è un’esperienza unica.
Che esperienza è stata quella che ti ha portato ad esibirti a presso l’Aula Nervi in Vaticano alla presenza di Papa Francesco, La prima cosa che hai pensato quando te l’hanno detto? E pochi attimi prima di esibirti?
Io non frequento la chiesa da tanto tempo, ma sento questo papa molto vicino, il suo essere così radicale nel cercare il bene degli esseri umani, dei più poveri, il suo essere così provocatorio e coraggioso. Sono stata chiamata in occasione di un incontro con i ragazzi delle scuole che avevano lavorato sull’enciclica Laudato Sii, un documento che ho letto e amato per la sua incisività rispetto alla necessità di fare immediatamente qualcosa per fronteggiare i cambiamenti climatici. Così per l’occasione ho messo in musica una favola che Antonio Gramsci raccontò ai suoi figli in una delle sue lettere dal carcere, una favola ecologica: “Il topolino e la montagna”. Ci fosse stato un altro papa l’avrei vissuta in modo molto diverso, ma davanti a Francesco, beh, ero davvero emozionata! E poi cantare Gramsci in Vaticano, capita mica tutti i giorni!
Progetti Presenti? Stai lavorando a nuovi progetti?
Attualmente sto scrivendo delle canzoni per bambini, sono un bel rifugio in questo periodo di quarantena… e poi c’è il mio disco, dovevamo cominciare a registrarlo a marzo, ora vedremo quando potremo riprendere ad andare in studio di registrazione…
Come stai affrontando questo periodo?
Faccio meditazione, ginnastica, scrivo, mi preparo cose buone da mangiare, leggo, ho imparato a fischiare con le dita e parlo con le piante che ho nel terrazzo. Insomma, cerco di non perdere l’equilibrio, cosa non facile vivendo da sola e non sapendo quando potremo ricominciare a lavorare… Ma credo che questa sia davvero anche un’occasione preziosa per guardarsi dentro, fare spazio, lasciar uscire nuove idee e nuove parti di noi… vedremo cosa ne verrà fuori!
di Giovanni Pirri